In evidenza, Riflessioni

L’importanza del partire dal perché

Vi siete mai chiesti perché facciamo quello che facciamo? Da dove derivano le nostre azioni? Qual è il nostro “drive“? E soprattutto, che cosa ci spinge ad andare avanti quotidianamente inseguendo i nostri obiettivi?

Ecco, queste domande me le pongo spesso, quasi ogni giorno. Mi aiutano a capire chi sono e soprattutto dove sto andando, tenendo fede ai miei valori e ai miei principi di vita. Vivendo a Londra da diversi anni, è facile farsi travolgere dalla frenesia della capitale inglese, per questo è fondamentale rallentare e riflettere. Non sempre è possibile, ma ogni tanto è necessario farlo.

Riflettendo, ho imparato a conoscermi meglio, e conoscendosi meglio, sia come persona che come allenatore, è più semplice comprendere se stessi e i propri punti di forza e i propri punti deboli. Diciamoci la verità, è difficile mettersi a nudo e analizzarsi nel profondo, e a dire il vero, fin troppo spesso, è anche scomodo. Ma questo, almeno a mio parere, è il miglior modo per migliorare e rispondere alle domande sopracitate.

Ecco, proprio dopo diverse riflessioni, alcune settimane fa ho deciso di cambiare un pò lo stile di questo blog. La pubblicazione del mio libro e i viaggi alla scoperta degli stadi inglesi sono un bellissimo ricordo, e dato che il mio percorso di allenatore procede spedito, ho pensato di mettermi alla prova e iniziare a scrivere di calcio, di storie di allenatori, di approcci metodologici, di esperienze che ho vissuto e che vivrò sul quel rettangolo verde, condividendo analisi e riflessioni con lo scopo di confrontarmi con chiunque avrà la voglia di leggermi.

Scrivere mi fa stare bene, ma più di ogni altra cosa mi aiuta a riflettere in modo molto profondo. In tutta onestà, credo che il mestiere dell’allenatore sia uno dei lavori più complessi in assoluto, ma solo quando iniziamo a comprendere bene chi siamo, allora diventa un pò più semplice. Almeno, questo è quello che sta accadendo a me in questi ultimi tempi.

Ormai sono poco più di cinque anni che alleno, e ricordo bene le paure e le insicurezze che mi accompagnavano i primi tempi quando mi ritrovavo da solo con 15-20 ragazzini piuttosto scatenati, fin troppo spesso noncuranti di quello che gli dicevo. Beh, forse non mi capivano, dato che il mio inglese non era dei migliori, ma quando a distanza di anni mi son ritrovato ad analizzare quelle paure e insicurezze, ho capito che il problema non era soltanto la lingua, ma ben altro.

All’epoca non mi conoscevo del tutto, e a dire il vero non ero mai andato alla ricerca del perché facevo determinate cose.  Non mi ero mai chiesto perché programmavo un allenamento in un certo modo, e nemmeno perché parlavo ai ragazzi in un modo piuttosto che un altro. Certo, stavo imparando, ma mentre imparavo mancava la cosa più importante: ovvero la comprensione di quello che facevo. Facevo delle cose senza domandarmi mai il perché, e con molta frequenza ripetevo gli stessi esercizi che avevano fatto in passato i miei allenatori, oppure quello che avevo visto fare a qualche allenatore che ritenevo più bravo e più preparato di me, tutto qui.

Lo stesso è accaduto qualche tempo dopo, quando ho avuto la fortuna di allenare al Chisola Calcio, una delle migliori Juventus Academy d’Italia. Anche lì, per quanto il livello fosse piuttosto alto, ora che ci penso, raramente ho trovato colleghi che andavano alla ricerca del perché. Probabilmente non ci avevano mai pensato, o semplicemente seguivano le linee guida della Juventus, e quello poteva già bastare come giustificazione…

Poi, finalmente, nel settembre 2021 ho avuto l’opportunità di studiare all’università con il Chelsea FC, e Michael Ayres, uno dei professori, ha completamente rivoluzionato il mio modo di pensare e di agire, nel calcio e nella vita. Ricordo tutto di quel momento, ogni singolo istante. Mancavano pochissimi minuti alla fine della lezione, e Michael ci pose una semplice domanda: avete mai riflettuto sul ‘perché fate quello che fate?‘.

Ecco, in quel momento qualcosa è cambiato nella mia testa, e a dire il vero anche nella mia vita, sia come persona che come allenatore. Prima di allora non mi ero mai posto questa domanda, e appena lasciai la classe, dopo aver più volte ringraziato Michael, iniziai a riflettere profondamente su quella semplice ma incredibile domanda. Una domanda all’apparenza banale, ma estremamente difficile a cui rispondere, che a distanza di quasi due anni, mi ha portato a osservare la vita e il calcio in modo completamente diverso.

La sicurezza nei miei mezzi è cresciuta tanto, il mio approccio con le persone è migliorato, così come le domande che pongo e le risposte che cerco di dare, ma più di ogni altra cosa è migliorato il mio modo di pensare, sia in campo che fuori. Ormai, ogni volta che pianifico un allenamento parto sempre dal perché faccio determinate cose, e soprattutto cerco di trasmettere questi concetti ai ragazzi. Come? Responsabilizzandoli, invitandoli a riflettere sulle loro azioni e sul loro modo di parlare in campo e fuori, così da aiutarli a crescere e soprattutto a sviluppare la leadership che è in ognuno di loro. Ormai i miei allenamenti ruotano intorno ai ragazzi, e mai intorno a me come accadeva in passato. Il calcio è il loro gioco, e il mio metodo di lavoro consiste principalmente in tre cose:

1) Creare il giusto ambiente per far esprimere al meglio ognuno di loro, valorizzando le caratteristiche dei singoli per il bene e per la crescita del gruppo.

2) Connettersi con loro prima da un punto di vista umano e poi calcistico. È per me fondamentale istaurare con i ragazzi delle relazioni sane, fatte di comunicazione e di comprensione reciproca dal punto di vista emotivo. Credo fortemente che, una volta istaurata una relazione e connessione da uomo a uomo, sarà poi più semplice connettersi da un punto di vista calcistico. A mio modo di vedere, il rapporto umano viene prima del rapporto allenatore-calciatore.

3) Supportarli e guidarli dove necessario per far si che comprendano il perché si fa quello che si fa. È per me fondamentale che i ragazzi comprendano i miei perché, i miei modi di fare e di allenare, costruendo una connessione che si basa su rispetto, ascolto e duro, durissimo lavoro.

Ecco, scrivendo e riflettendo sono arrivato a una conclusione: dove sarei oggi se non avessi mai incontrato Michael? Mi sarei posto le stesse domande? Avrei parlato allo stesso modo ai ragazzi che alleno oppure alle persone che ho incontrato? Non lo so, è difficile rispondere a queste domande.

Quel che è certo, è che riflettendo e ponendomi con estrema frequenza la domanda ‘Why we do what we do‘, ho compreso molte più cose della vita, ho analizzato con attenzione le mie azioni e ho trovato tante risposte a domande che non mi ero mai posto prima. Spero che lo stesso sia accaduto e possa accadere ai ragazzi che ho e avrò la fortuna di allenare, perché infondo, il nostro mestiere non è altro che connettersi con ognuno di loro e renderli uomini e calciatori migliori, e qualora riuscissimo in una di queste due cose, beh, a mio parere, possiamo dire di aver fatto un buon lavoro…

Grazie per essere arrivati fin qui! Cosa ne pensate? Fatemelo sapere nei commenti!

Ivan Ambrosio